Rosa elettrica by Giampaolo Simi

Rosa elettrica by Giampaolo Simi

autore:Giampaolo Simi [Simi, Giampaolo]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858409404
editore: Einaudi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Quattro

La signora Fischer entra nel bagno alle dieci. Grida il nome del marito e per venire a liberarmi scivola sulle schegge dello specchio e sulle mattonelle che ho inondato di piscio.

Il signor Fischer vuole avvertire la polizia.

Io ripeto solo: – Pago tutto, pulisco tutto.

Loro vogliono chiamare anche un dottore, vogliono che mi lavi. Io sono fuori di me, lo capisco, ma penso solo a riempire la mia borsa da viaggio. E a trovare i soldi.

Cocíss non li ha presi.

Metto mille euro sul tavolo e assicuro che entro mezz’ora lascio l’appartamento.

Ma niente polizia. Niente polizia e niente polizia. Sono un disco rotto.

Alla fine mi metto a piangere e la moglie passa dalla mia parte (neanche un filo di dignità, m’è rimasto, e allora tanto vale).

Il signor Fischer mi accompagna persino nel bagno di casa sua, a darmi una bella risistemata. I lividi piú grossi ce li ho su una coscia, su un fianco e su una spalla. In faccia solo uno, vicino all’orecchio destro. Lo copro con il trucco e con una ciocca di capelli, ma si vede, eccome.

Nel cimitero c’è una funzione all’aperto, sotto gli ombrelli colorati come i fiori.

La pioggia mormora sui tetti scuri e il cielo è bianco. Gli anziani viaggiano per il paese appoggiati a dei piccoli carrelli con le ruote e il paniere metallico per la spesa.

Cocíss s’è preso la macchina, e per prima cosa denuncio il furto alla compagnia di noleggio. L’auto la ritroveranno di certo, lui non credo proprio.

Resto un’ora seduta su una panchina di pietra, davanti a una brutta chiesa di mattoni anneriti dall’umidità. Rivedo Cocíss che si incide il mio nome nella carne e non riesco a darmi pace.

Proseguo a piedi verso la stazione. Il primo treno per Amburgo parte fra un’ora e mezzo. Prendo un caffè e compro il biglietto.

Mi chiudo in un centro telefonico gestito da una coppia di pakistani. La cabina insonorizzata è foderata di pubblicità di ristoranti moghoul, money transfer, imprese di pulizie, servizi di escort. Chiamo i miei genitiori, ma a metà numero riaggancio. Non voglio che mi sentano cosí. Mi basta sapere che ci sono, mio padre nel seminterrato e mia madre a telefonare a qualche sua amica per consolarsi.

Chiamo, aspetto di sentire la voce di mia madre, poi riattacco.

Ora piove a dirotto. La pioggia taglia il cielo pesante e sferza i passanti dalla stradina pedonale finché non si rintanano tutti (ma chi cazzo mi sono creduta di essere?)

Cerco fra i miei sbagli il capro espiatorio perfetto. Mi sembrano tanti, tutti enormi.

Aspetto che smetta e attraverso la piazza.

È sul treno per Amburgo che scopro di aver fatto uno sbaglio diverso dagli altri. Salto giú convinta che proprio quello sbaglio potrebbe farmi ritrovare Cocíss.

Perché io lo devo ritrovare.

Io lo voglio ritrovare.

La grande terrazza della stazione domina i binari e io sono di nuovo attaccata a un telefono. Brucio schede telefoniche come niente. Il collega Morano mi fa perdere tempo, vorrebbe che gli spiegassi troppe cose. Invece gli spiego solo di andare dai miei padroni di casa, di farsi dare le chiavi della mia mansarda e di controllare le chiamate effettuate dal mio telefono.



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